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Cosa rischiamo se il coronavirus farà saltare la Cop26? di And | Climate change is real

Cosa rischiamo se il coronavirus farà saltare la Cop26?
di Andrea Barolini

«Giant steps are what you take, Walking on the moon. I hope my legs don't break, Walking on the moon»


La crisi del coronavirus rischia di rendere il 2020 l’ennesimo anno di transizione nella lotta ai cambiamenti climatici. I principali summit internazionali saranno infatti, con ogni probabilità, annullati e riconvocati quando l’epidemia sarà un ricordo. Il rischio è che il calendario stabilito - in mezzo a mille difficoltà - dai governi di tutto il mondo possa subire pesanti ritardi.

Dal 15 al 29 ottobre si sarebbe dovuta tenere a Kunming, in Cina, la Cop15 sulla biodiversità. Un appuntamento cruciale per stabilire una “road map” internazionale finalizzata a rallentare il drammatico processo di perdita di specie viventi, capace di sconvolgere gli ecosistemi del mondo intero. Il rinvio della conferenza è stato ufficializzato il 23 marzo e, secondo fonti interne alle Nazioni Unite, l’evento sarà riprogrammato nel 2021 (la data non è nota).


«We could walk forever, Walking on the moon»


La ragione principale per la quale un evento così lontano è stato annullato è legata non tanto ai rischi legati al coronavirus (si confida nel fatto che, in autunno, il problema possa essere stato superato da tempo). Il problema è che in questi mesi avrebbero dovuto essere effettuati i lavori preparatori della Cop15 sulla biodiversità. In assenza dei quali è impossibile (inutile) riunirsi.

È la stessa ragione per la quale si sta vociferando da giorni su un possibile rinvio anche della - ancor più importante - ventiseiesima Conferenza mondiale delle parti (Cop26) sui cambiamenti climatici, prevista dal 9 al 19 novembre a Glasgow, in Scozia. Anche in questo caso, il nodo cruciale sono i lavori preliminari, dal momento che già alcune sessioni dell’UNFCCC - la Convenzione quadro delle Nazioni Unite che organizza le Cop - sono state annullate.

Qualora il rinvio fosse ufficializzato, i problemi sarebbero particolarmente complessi da risolvere. Entro l’inizio della Cop26, ai governi di tutto il mondo è stato chiesto infatti di rivedere le proprie Nationally Determined Contributions (Ndc). Ovvero le promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra avanzate per la prima volta nel 2015, prima della Cop21 di Parigi, che portò all’approvazione dell’Accordo che porta il nome della capitale francese.


«We could live together, Walking on, walking on the moon»


L’analisi delle promesse di cinque anni fa indica infatti che - anche qualora esse fossero rispettate per intero - la diminuzione dei gas climalteranti che ne conseguirà sarà largamente insufficiente. Essa porterà la crescita della temperatura media globale, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali, a 3,2 gradi centigradi. Mentre l’Accordo di Parigi indica come limite massimo - per evitare che la crisi climatica si trasformi in catastrofe - i 2 gradi («rimanendo il più possibile vicini a 1,5», indica il documento).

Se la Cop26 sarà procrastinata, il rischio è che con essa sia ritardata anche la presentazione dei nuovi impegni da parte dei governi. Nel suo ultimo rapporto intitolato “Emission Gap”, l’agenzia Onu per l’Ambiente (UNEP) ha spiegato che per centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi occorrerà abbassare le emissioni in modo estremamente deciso. «È necessario – si legge nel report – un calo del 7,6 per cento all’anno, da qui al 2030». Ciò immaginando un impegno immediato da parte della comunità internazionale. Coronavirus permettendo.


Citazioni musicali The Police, Walking On The Moon, 1979